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Il Parco minerario Floristella Grottacalda, il più grande sito d'archeologia industriale del mezzogiorno d'Italia, si trova in provincia di Enna. Un museo naturale che racconta la storia dell'estrazione e della lavorazione dello zolfo.
Il Parco minerario Floristella Grottacalda è il racconto della società siciliana dei nostri antenati.
Miniera di Trabonella in Sicilia
Foto di Vincenzo Santoro
A tal proposito, "Ciaula scopre la luna" di Luigi Pirandello, rappresenta la Sicilia della miseria e dello sfruttamento.
Interno della Miniera siciliana "Trabonella"
Foto di Vincenzo Santoro
La breve novella del Nobel di Agrigento ci permette di scoprire i tortuosi gradini, consumati dalla fatica, che percorrevano i "carusi" per raggiungere la miniera.
Area adibita al trasporto di materiali da lavoro attraverso
l'utilizzo di carrelli su rotaie all'interno della Miniera di Trabonella
Foto di Vincenzo Santoro
I 400 ettari del Parco includono i siti estrattivi di Floristella e Grottacalda e contemplano anche il sito di Gallizzi, la parte mineraria più antica.
Esterno della Miniera Trabonella in Sicilia dove venivano
condotti i carrelli sulle rotaie per il trasporto di merci
Foto di Vincenzo Santoro
L'area ricade in provincia di Enna, in un territorio compreso fra Enna, Aidone, Piazza Armerina e Valguarnera, a qualche chilometro da quest'ultimo centro.
Il territorio circostante della Miniera siciliana Gessolungo
Foto di Vincenzo Santoro
All'ingresso della miniera di Floristella ci si ritrova in un bosco dove si scorge una delle sedi del parco: chiusa la miniera, la riserva è diventata occasione di sviluppo per figli e nipoti di quei minatori che lavorarono qui a partire dalla fine del settecento al 1986.
Capannone della Miniera Gessolungo (Sicilia)
Foto di Vincenzo Santoro
La struttura gode di una posizione favorevole trovandosi nei pressi dell'uscita Mulinello dall'autostrada Palermo - Catania, e a poca distanza da due luoghi simbolo della Sicilia: i Mosaici di Piazza Armerina ed il sito archeologico di Morgantina.
Esterno della miniera Gessolungo in Sicilia
Foto di Vincenzo Santoro
L'impiego nell'industria bellica e la scoperta dell'acido solforico (impiegato per svariati usi) condussero ad una richiesta sempre maggiore di zolfo da parte delle nascenti industrie, a partire dal XVIII secolo in poi. La Sicilia si scopre così un vero e proprio giacimento: lo zolfo è il nostro oro.
Edificio della Miniera Gessolungo
Foto di Vincenzo Santoro
Le solfatare, attive nell'isola dal 1820 al 1920, inizialmente 50 diventano 500. Ne traggono maggior giovamento soprattutto Inghilterra e Francia, ma anche l'aristocrazia siciliana, che intasca le rendite, delega ai gabellotti la cura delle miniere.
Uno dei lati esterni della Miniera Gessolungo
Foto di Vincenzo Santoro
Il paradosso è che l'isola produce la quasi totalità dello zolfo nazionale e il 70% di quello mondiale, ma non produce ricchezza per i siciliani. Agli zolfatai, che lasciano i campi per inseguire i guadagni della modernità, restano addosso la fatica e la malattia, rimanendo in una condizione di miseria. Il Regno Borbonico non muove un dito: consente ai proprietari delle miniere di essere padroni sia sopra che sotto la terra; soltanto nel 1926 si abolirà la proprietà privata del sottosuolo ed il suo sfruttamento sottoposto a concessione.
Nel '900 le condizioni in miniera migliorano grazie alle leggi e alla tecnologia, che ricopre un ruolo fondamentale sulle pratiche di estrazione e di fusione del minerale.
Le pareti interne della Miniera Gessolungo
Foto di Vincenzo Santoro
Il parco minerario è un museo all'aria aperta dove è possibile ricostruire la storia dell'estrazione e della lavorazione dello zolfo: l'evoluzione che hanno subìto le discenderie fino ai pozzi verticali, passando per i castelletti; dalle calcarelle ai forni Gill, passando per i calcheroni.
Nel parco si trovano centinaia di discenderie. Qui lavoravano e dormivano, per cinque giorni a settimana, piccionieri (alle dipendenze dei gabellotti) e "carusi", bambini di sette, otto anni (in casi estremi anche cinque) "affittati" dalle famiglie degli zolfatai dietro pagamento del cosiddetto "soccorso morto", denaro versato in unica soluzione, definita "affittanza di carne umana".
Centrale di controllo della Miniera "Gessolungo"
Foto di Vincenzo Santoro
Il piccioniere diventava il padrone di quel bambino per diversi anni, in alcuni casi anche per tutta la vita, sin quando il "caruso" non riusciva a riscattare la propria libertà con il lavoro. Anni massacranti, in cui i fanciulli vedevano il proprio corpo storpiato dal peso dello zolfo. Venticinque chili sulle spalle che portato all'esterno al termine di una ripida scalinata di un centinaio di metri.
Gancio di traino per trasportare pesanti materiali fino
ad un peso di 7,5 t utilizzato durante i lavori nella Miniera Gessolungo
Foto di Vincenzo Santoro
Una pratica balorda giunta sino alle soglie del '900, ed infine vietata solo dopo l'inchiesta "Franchetti Sonnino" che evidenziava al mondo intero una pratica considerata, in Sicilia, tragicamente normale.
Gli ingranaggi delle macchine da lavoro utilizzate nella
Miniera Gessolungo
Foto di Vincenzo Santoro
A favorire condizioni meno estreme di lavoro, furono i pozzi estrattivi: i minatori si avvalevano delle trivellazioni, i "carusi" non mettevano più piede in miniera e il materiale veniva portato in superficie grazie ad una linea ferrata. A Floristella si possono osservare le discenderie, alcune recuperate, i pozzi con i castelletti in pietra, i pozzi in ferro ed acciaio; le sale d'argano e i vagoncini della ferrovia che portavano all'esterno il materiale estratto.
Attrezzature della
Miniera Gessolungo in Sicilia
Foto di Vincenzo Santoro
Da Palazzo Pennsi è visibile la vallata dove scorre il Rio Floristella, con acqua sulfurea. Il Palazzo fu edificato per volere del Barone Agostino Pennisi di Floristella che diede alla gestione della miniera un'impronta imprenditoriale.
Da qui si notano, i calcheroni, fosse circolari dove il minerale veniva incendiato e fuso per poi colare nelle forma ("gavite") e ridotto in panotti.
A Grottacalda (il cui sito ricade in un'area privata non ancora vincolata) si ammirano i pozzi con gli ascensori, i forni Gill (evoluzione nella fusione del minerale) una ciminiera in cotto rosso, l'elegante pozzo Mezzena.
Macchine da lavoro della Miniera Gessolungo
Foto di Vincenzo Santoro
Il terzo sito estrattivo è quello di Gallizzi. La parte più antica della miniera (risalente al '700) in cui si trova il primo pozzo a trazione animale che veniva azionato da muli. Qui Pirandello ambientò "Ciaula scopre la luna", la storia di uno dei tanti carusi che consumarono la propria fanciullezza in miniera e, costretto una volta a lavorare fino a sera, scopre la luna che non aveva mai visto.
Alla fine della visita, lo sguardo scruta il cielo quasi a cercare la luna per scoprirla con gli occhi di un bambino.
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